Scoprire le potenzialità e sviluppare il talento personale

L’intelligenza delle emozioni

Mente razionale e mente emotiva

Per decenni abbiamo ritenuto che l’intelligenza fosse rappresentata da come le persone pensano, ragionano e analizzano le situazioni. I primi psicologi che hanno affrontato il tema dell’intelligenza hanno messo il focus sugli aspetti cognitivi ed elaborativi, legati ai processi logici di ragionamento e al problem solving. Oggi finalmente sappiamo che non esiste un’unica forma di intelligenza ma ne abbiamo diverse e che non tutto si risolve con la rilevazione tramite test del nostro Quoziente Intellettivo (QI).

Già nel 1990 Salovey e Mayer scrivevano in un famoso articolo che l’Intelligenza Emotiva è la capacità di elaborare le informazioni in base alle proprie emozioni e a quelle altrui. Inoltre, comprende anche la possibilità di utilizzare queste informazioni come guida per il pensiero e il comportamento. Secondo Daniel Goleman noi esseri umani abbiamo sviluppato due modalità per acquisire la conoscenza: la mente razionale, quella che pensa, e la mente emotiva, quella che sente. L’interazione tra queste due forme di apprendere costruisce la nostra vita mentale.

La mente razionale si è sviluppata nel corso dell’evoluzione ed è caratteristica degli esseri umani, è la parte deputata alla logica, al controllo, al ragionamento, alla riflessione. A livello anatomico la possiamo situarla nella corteccia cerebrale o neocorteccia.

La mente emotiva è quella che ci ha donato l’evoluzione. Ci consente risposte emotive spontanee. È la parte più antica di noi, prevalentemente istintiva, con funzioni legate alla sopravvivenza e alle reazioni immediate in situazioni di emergenza: lotta, fuga o freezing. Nel corso del tempo abbiamo sviluppato emozioni più elaborate, che possiamo chiamare “sociali” o secondarie. Sono legate al nostro quotidiano, dove ad esempio per poi è importante saper gestire la nostra ansia e attrezzarci strumenti per raggiungere i nostri obiettivi e un certo livello di ben-essere.

Iniziamo a riconoscere la nostra capacità di intelligenza emotiva dalla collaborazione tra mente emotiva e mente razionale. Secondo Goleman si tratta di “armonizzare emozione e pensiero” (Goleman, 2005). Quanto più una persona sarà in grado di “armonizzare” (o integrare) la sua parte emotiva con quella razionale tanto più sarà in grado di trovare un maggiore equilibrio con sé stesso e con gli altri.

Le emozioni hanno intelligenza

La nostra vita quotidiana è costellata di esperienze emotive e tuttavia noi siamo coscienti solo di una piccola frazione di esse (ricerca della Yale University). Certo le emozioni sono l’espressione di un flusso di eventi cerebrali di cui siamo inconsapevoli ma ognuna da un tono a ogni interazione umana. Pertanto gran parte del nostro processo di interpretazione degli stimoli che riceviamo agisce prima ancora che possiamo accorgercene.

L’elemento di interpretazione e possibilmente di gestione dell’emozione appare dopo che esse si sono manifestate al nostro interno. E la nostra intelligenza emotiva, per dirla con le parole di Federico Fros Campelo:

può essere pensata proprio da questa prospettiva: facendo appello alla nostra forza di volontà, possiamo reinterpretare ciò che ci accade per disattivare in tempo l’emozione inopportuna e promuovere un processo emotivo alternativo. Oltre a suscitare emozioni e a motivare risposte, l’interpretazione sarà soggetta all’emozione del momento. … Conoscendone lo scopo e i meccanismi, è possibile anticiparle ed evitare che diventino disfunzionali.

Ecco alcuni punti che alimentano questa collaborazione fondamentale tra mente emotiva e mente razionale e che ci consentono di esprimere intelligenza emotiva.

  • Le emozioni ci mettono in contatto profondo con noi stessi e con gli altri. Sono una componente innata, una sorgente di vita che ci consente di percepire e adattarci all’ambiente intorno a noi. Sono necessarie per proteggerci dai rischi e per farci evolvere, cogliendo l’umanità più autentica dei rapporti sociali (empatia affettiva).
  • Le emozioni sono utili agli esseri umani per farci cogliere ciò che abbiamo bisogno di manifestare e di esprimere, ciò che ci danneggia o ci ferisce. Non ci sono emozioni positive o negative, queste definizioni sono legate a connotazioni culturali condizionanti. Ci sono emozioni che ci fanno stare bene e altre che ci fanno stare male.
  • L’autoconsapevolezza emotiva è fondamentale: le emozioni sono immediate, naturali, istintive ed hanno una valenza ben precisa (sopravvivenza o adattamento): riconoscerle significa imparare a osservare ed accogliere il nostro vissuto emotivo anziché reprimerlo (questo è potenzialmente dannoso).
  • L’autocontrollo emotivo ci aiuta a tenere sotto controllo le emozioni e gli impulsi distruttivi. Le emozioni le proviamo, non possiamo controllare questo fatto. Possiamo modulare l’intensità dell’emozione che sentiamo rendendo indispensabile la collaborazione fra mente emotiva e mente razionale: ragione e sentimento insieme!
  • Dal dialogo tra emozione e ragione nasce la vera intelligenza emotiva e noi possiamo utilizzare le emozioni a nostro vantaggio. Come?

Le emozioni possiamo gestirle a nostro vantaggio.

Già banalmente dare un nome alle emozioni provate ci consente di avere un certo controllo su di esse. Comprendere con nitidezza la natura del proprio stato emotivo significa possedere un “vocabolario emozionale” ricco e sofisticato, aspetto fondamentale per un’efficace presa di decisioni.

Per sapere cosa decidere per i nostri obiettivi, le nostre mete o il nostro benessere dobbiamo essere in contatto con le nostre emozioni. Questo è un dialogo produttivo ogni volta che ci liberiamo di pregiudizi e di convinzioni limitanti. Possiamo integrare mente razionale e mente emotiva senza cercare di escludere l’una o l’altra a seconda delle circostanze. Insieme esse ci mostrano i nostri bisogni e desideri ed i limiti entro cui possiamo soddisfarli.

Inoltre la chiara visione delle proprie emozioni può rafforzare alcuni aspetti della personalità: renderci individui autonomi e sicuri dei propri limiti, che godono di una buona salute psicologica e tendono a vedere la vita da una prospettiva positiva. Infine, possiamo gestire l’emozione senza reprimerla e questo elemento ci consente di recuperare velocemente il benessere psichico turbato dall’insorgere dell’emozione.

L’intelligenza emotiva comprende la capacità di controllare i sentimenti in modo che essi siano appropriati alla situazione. I sentimenti estremi oppure le emozioni quando diventano troppo intense o durano troppo a lungo, minano la nostra stabilità: per questo è fondamentale che non sfuggano al controllo. Utilizzare le emozioni vuol dire far si che le emozioni possano interagire con il pensiero ed associare l’emozione giusta al compito da svolgere.

A questo proposito consideriamo come esempio alcune emozioni considerate “negative” o difficili….

  • La rabbia, per quanto intensa e disagevole, ci ricorda che siamo vivi, che vogliamo reagire ad una situazione, che possiamo attivare molta energia e che abbiamo a cuore noi stessi.
  • La tristezza è fonte di ispirazione, alimenta quella malinconia che ci mette in contatto con dei bisogni affettivi profondi da nutrire; non è solo struggimento ma ci porta a recuperare gli affetti, i luoghi, le cose e le situazioni a noi care.
  • La paura ci rende vigili, attenti ai segnali deboli, capaci di considerare e valutare i rischi in una situazione e di attivarci velocemente per l’azione.

Si le emozioni hanno intelligenza e sta a noi far collaborare funzionalmente il cuore e la testa. Il Coaching può aiutarci a coltivare la nostra intelligenza emotiva.

“Noi nutriamo sentimenti su tutto ciò che facciamo, pensiamo, immaginiamo e ricordiamo. Il pensiero e i sentimenti sono inestricabilmente intrecciati fra loro.”

Daniel Goleman

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4 chiavi per il cambiamento personale

Ci sono 4 chiavi che ci rendono amico il cambiamento, ci aiutano ad avere un atteggiamento proattivo ed energia per essere al passo con ciò che muta insieme a noi.Il cambiamento irrompe nella nostra zona di comfort e porta una differenza, una variazione significativa. Ci porta a fare qualcosa di diverso od a essere diversi, attivando una trasformazione incrementale o radicale che sia. Conoscere il cambiamento significa viverlo come la dimensione caratteristica dell’esistenza umana, per coglierne le opportunità che sono insite in ogni piccola, medio e grande modifica dello status quo.

Per poter comprendere il tema del cambiamento possiamo esplorare alcuni aspetti chiave che ci avvicinano alla natura complessa di questo concetto e ci rendono più familiare l’idea di essere persone in divenire, capaci di cambiare. Questi focus riguardano visione, innovazione, potenzialità e apprendimento. Vediamoli brevemente.

Visione

La prima delle 4 chiavi per il cambiamento è la Visione, ovvero il quadro del futuro. Trovare la nostra direzione ci ispira e ci guida nelle nostre decisioni, come se disponessimo di un faro che ci indica la via e ci dice quali scelte sono da fare.

La gestione del cambiamento riguarda il processo attraverso cui siamo consapevoli della condizione del nostro presente percepito e ci orientiamo verso la situazione del futuro desiderato. È una transizione che ci trasporta nella nostra sfera dell’autorealizzazione situata in un orizzonte lontano che però ispira il nostro sguardo e ci trasmette energia positiva.

La visione è una immagine ricca di dettagli che ci mostra come abbiamo raggiunto i nostri obiettivi e le nostre mete. La tua dichiarazione di visione è come una tela da dipingere, puoi scriverla oppure disegnarla, raccontarla a persone a te vicine, in ogni caso stai articolando i tuoi progetti da realizzare nel futuro. Può aiutarmi una mindmap su un foglio di carta per definire l’intera visione, comprese azioni, risorse, opportunità e sfide. La visione deve essere semplice da condividere e deve ispirare l’azione! Senza quest’ultima, senza generare attivazione e iniziativa abbiamo solo un sogno ad occhi aperti.

Innovazione

La seconda delle 4 chiavi per il cambiamento è l’innovazione. Per immaginare un futuro diverso dobbiamo pensare ad un futuro che abbia i tratti del nuovo. Riprendendo gli spunti e l’analisi di Luciano Martinoli per “novazione” (termine tecnico molto noto in ambito giuridico) si intende: “… la capacità di far del nuovo, creare innovazione radicale, quello che il mondo anglosassone indica come breakthrough innovation”. L’innovazione invece è la novazione all’interno di qualcosa, indicata dal prefisso “in”, un miglioramento dell’esistente.

Sono evidenti le relazioni fra l’abitudine e la paura di cambiare. Si ha timore di uscire dal sentiero del noto e rassicurante. Si ha paura di ciò che è “abitualmente” considerato pericoloso o minaccioso, anche quando un minimo di approfondimento ci dimostrerebbe che in realtà non lo è.

L’abitudine è nemica dell’innovazione, “Ho sempre fatto così ”… Questo ritornello molto spesso recitato, porta una conseguenza seria, ovvero la chiusura verso il nuovo, verso il pensiero laterale, verso la possibilità di ampliare i confini della zona di comfort. Non riusciamo ad innovare perché non esploriamo e non scambiamo contenuti ed esperienze. L’autoreferenza in sintesi vuol dire chiudere le porte alla “contaminazione” delle idee, alla generazione di scenari alternativi e stili di vita differenti.

Segnalo inoltre che fra le “cattive abitudini” c’è anche quella di accettare ilnuovo”, senza chiederci se sia nuovo davvero oppure se quella particolare novità sia veramente utile. L’abitudine di inseguire indiscriminatamente le novità e le mode nasconde il timore di perdere consenso sociale o può derivare da mancanza di spirito critico.

Potenzialità

La terza delle 4 chiavi per il cambiamento riguarda il concetto della potenzialità, ovvero il “trolley delle nostre risorse” che ci portiamo nel viaggio della vita.

Ciascuno di noi ha abilità e potenzialità innate. Per la nostra autorealizzazione e benessere dovremmo coltivarle, farle emergere, allinearci ad esse. In questo modo possiamo esprimere così un cambiamento naturale e presente in noi stessi, ovvero quello di diventare veramente chi siamo!

La psicologia positiva (Seligman) guarda il comportamento umano in termini di punti di forza del carattere, ovvero caratteristiche positive che contribuiscono nel lungo termine al nostro benessere.

Secondo questo approccio, conoscere i propri punti di forza consente di costruire su di essi, ottenendo così una vita più felice e soddisfacente. I ricercatori hanno codificato questi punti di forza in 6 grandi virtù, ciascuno con il proprio sotto insieme di Punti di Forza. Le Virtù riguardano saggezza e conoscenza, coraggio, umanità e amore, giustizia, temperanza, trascendenza.

Le potenzialità personali sono il DNA della nostra filosofia di vita e poterle manifestare sviluppa la performance, aumenta il livello di soddisfazione e di entusiasmo e facilita il raggiungimento di obiettivi professionali e personali. Le performance che siamo capaci di realizzare corrispondono alla differenza tra le potenzialità che abbiamo meno le interferenze. Ma quali sono queste interferenze? Spesso le riconduciamo a fattori esterni quali gli altri, il lavoro, la società, le circostanze sfavorevoli, il caso, la sfortuna. Invece le vere interferenze sono principalmente i nostri pensieri, le nostre convinzioni limitanti ed in definitiva noi stessi. Il vero avversario – ci insegna Tim Gallwey– non è colui che è dall’altra parte della rete nel campo da tennis, (cioè l’altro) ma è nella nostra testa, siamo noi stessi.

Trovo proficuo partire con l’accrescere la nostra consapevolezza e la conoscenza di sé, riconoscendo quali potenzialità e abilità personali sono dentro di noi e darci il permesso di esprimerle. Incoraggiarsi e prendere coscienza delle proprie potenzialità è di fondamentale importanza per cambiare anche le proprie performance.

Apprendimento

L’ultima delle 4 chiavi per il cambiamento è quella dell’apprendimento. Il conoscere (knowing) include sia ciò che sappiamo sia che ciò che possiamo fare ed indica uno stato. A questo si aggiunge il fatto che le nostre conoscenze hanno un ciclo di vita, come ben espresso da Nonaka e Takeuchi a metà degli anni 90 del secolo scorso.

L’apprendere (learning) indica dei cambiamenti nello stato di conoscenza. L’apprendimento accresce la conoscenza o modifica qualcosa della conoscenza precedente. È una dimensione sempre presente nella vita delle, ovvero la capacità di apprendere ad apprendere e la riflessione su come sviluppiamo il nostro apprendimento è una risorsa cruciale nella vita delle persone.

Le persone così possono essere sempre più protagoniste del loro percorso di crescita e cambiamento nell’ambito delle relazioni personali e di lavoro, trovando oggi modalità e strumenti tecnologici e sociali per condividere, collaborare e partecipare nella “costruzione” del sapere (social network). Questo focus ci fa considerare il nostro apprendimento come un processo mediante il quale acquisiamo nuove conoscenze e sul quale influiscono diversi aspetti:

  • esperienze individuali e collettive che rielaboriamo con la nostra intelligenza emotiva e cognitiva
  • strategie cognitive personali e stili di apprendimento
  • stimoli dell’ambiente circostante, ovvero input e informazioni provenienti dalla realtà esterna
  • modelli, formalismi, teorie e contenuti che di vengono dai percorsi formativi che scegliamo
  • strumenti di comunicazione e modi che regolano lo scambio delle informazioni

In fin dei conti il nostro apprendimento è un processo dinamico, che segue percorsi non lineari e non sequenziali e dipende tanto dalla nostra iniziativa e dalla nostra motivazione interna. Apprendere è cambiare!

In conclusione

Prima che le idee si trasformino in azioni è la consapevolezza del cambiamento come opportunità sempre presente nelle nostre vite che può infonderci un senso di positività, di possibilità. Le 4 chiavi per il cambiamento non ci spingono sempre e comunque a cercare di trasformarci ed essere iperattivi, tuttavia in molte situazioni la tensione allo “status quo” produce una sorta di artrosi mentale che ci limita fortemente e a volte ci imprigiona. Proprio allora dobbiamo essere nuovamente ispirati e tornare a vedere il mondo con occhi diversi, cogliendo nuovi significati e relazioni fra le cose, per riprendere a cambiare davvero. Così si può esprimere il valore e l’utilità di ciascuno delle 4 chiavi per il cambiamento personale.

Visione, innovazione, potenzialità e apprendimento sono gli ingredienti necessari alla nostra personale ricetta per cambiare!

 

 

 

Okness o non Okness? Questo è il dilemma

Cosa intendiamo per Okness

L’Okness è un concetto che descrive una posizione esistenziale positiva nella vita. Scopriamo insieme come sentirsi OK!

Ci riferiamo ad un nostro atteggiamento di fondo per il quale attribuiamo la stessa importanza ai bisogni che abbiamoed a quelli degli altri, attivando un dialogo che ricerca la parte migliore e quindi “OK” del nostro interlocutore. Noi siamo pronti a riconoscere che questa Okness è in noi come negli altri, valorizzandola. Possono esserci comportamenti che creano un problema relazionale, tra noi e gli altri, tuttavia nell’espressione della nostra persona e dei nostri bisognisiamo tutti OK.Cerchiamo di comprendere quali posizioni esistenziali sono sottostanti al concetto di essere o meno OK attraverso un esempio.

Cammino per strada e scorgo fra la gente un’amica di vecchia data che non vedo da molti anni. Contenta di poterla salutare, con l’intenzione di scambiare due chiacchiere con lei, sapere come sta, parlarle un po’ di me, cerco il suo sguardo e mi oriento nella sua direzione. Lei per un attimo sembra scorgermi. Poi abbassa gli occhi e rivolge la parola all’uomo che le sta accanto cominciando una fitta conversazione e spingendolo verso il bordo strada per evitare di passarmi vicino. Non ho commesso torti a suo danno, che ricordi, e i nostri rapporti sono sempre stati ottimi e schietti, ci siamo semplicemente perse di vista per i fatti della vita. Proseguo a camminare cercando di immaginare una possibile ragione, il motivo di quel distanziamento, e a chiedermi che cosa possa essere successo tra di noi …

Ci sono diversi atteggiamenti intimi e differenti reazioni a seguito di un episodio come questo, che fa parte delle esperienze comuni. Possiamo ricondurli a quattro principali.

  1. Posso sentirmi offesa e in difetto, mi convinco di essere io la causa, di non essere importante per lei e di essere una persona poco piacevole e dunque da evitare. Provo anche imbarazzo e disagio nonostante nessun altro si sia accorto dell’accaduto.
  2. Oppure posso provare una forte irritazione, addirittura rabbia, e attribuire alla mia amica insensibilità o presunzione, arroganza o un atteggiamento sprezzante, mi ritengo superiore a lei, nonché la sola capace di una vera amicizia. Concludo pensando che sia “meglio perderla che trovarla”.
  3. Un’altra eventualità è rifugiarmi nell’idea che sì, sono una persona mediocre che non merita poi tanta considerazione, ma che in fondo tutti gli esseri umani sono insensibili ed egoisti e che il mondo è un brutto posto in cui non c’è spazio per i buoni sentimenti.
  4. Il quarto fra gli atteggiamenti possibili è pensare che vada bene così: siamo entrambe delle belle persone ma il tempo e la vita ci hanno allontanate e lei avrà avuto delle valide ragioni per evitare il nostro incontro. Prendo anche in considerazione che potrebbe non avermi vista, oppure non avermi riconosciuta.

La stessa esperienza, dunque, viene vissuta in modo differente e interpretata con codice diverso a seconda della percezione che si ha di se stessi o degli altri. In questo senso il proprio modo di stare al mondo è definito dall’Analisi Transazionale – teoria psicologica sviluppatasi nella seconda metà del Novecento – Okness, ovvero Io sono OK e Tu sei OK.

Il senso di Okness e le posizioni esistenziali in Analisi Transazionale

L’Analisi Transazionale è una teoria della personalità, della comunicazione e della psicopatologia fondata dallo psichiatra statunitense Eric Berne tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta del Novecento. Da allora fino ad oggi si è espansa a livello internazionale, arricchita di numerosi studi, della pratica clinica, di quella del counseling e delle applicazioni in ambito organizzativo aziendale. Essa si avvale, per volontà del fondatore, di un linguaggio semplice che attinge al lessico familiare, quotidiano, e una delle parole di questo codice è forse l’espressione più popolare e comune nella nostra civiltà globalizzata, l’idea di Okness.

Ognuno è dotato di valore e dignità in quanto individuo, pertanto accetto ciò che tu sei anche se posso non accettare ciò che tu fai. La nostra essenza di essere umano è OK. Una percezione di sé positiva, costruttiva e adeguata al contesto, che pur tenendo conto di limiti e fragilità, dà valore alla propria vita e a quella degli altri, considera fertili le relazioni e agisce comportamenti efficaci e produttivi nel senso più lato. Include la capacità di sperimentate nuove opzioni ed esperienze ragionevolmente possibili.

Le posizioni esistenziali, in relazione al senso di Okness, e facendo riferimento alle diverse possibilità di vissuto dell’esempio precedente, sono riconducibili a 4:

  1. Io non sono OK – Tu sei OK (posizione vittimistica e passiva in cui si dà poco o niente valore a sé stessi e ci si sente inferiori o inadeguati);
  2. Io sono OK – Tu non sei OK (posizione tendenzialmente aggressiva in cui si attribuiscono all’altro tutte le responsabilità finendo con svalutarlo, denigrarlo o aggredirlo);
  3. Io non sono OK – Tu non sei OK (posizione nella quale c’è una mancanza di fiducia e di speranza verso sé, gli altri o la vita stessa);
  4. Io sono OK – Tu sei OK (posizione di benessere emotivo e di fiducia nel mondo, in sé stessi, nei rapporti umani).

Quest’ultima posizione esistenziale è quella che scaturisce dall’avere una solida autostima, slancio vitale, senso di appartenenza alla comunità umana, considerata positivamente come spazio di espressione libera e di relazione.

Sviluppare consapevolezza per le posizioni esistenziali

Secondo l’Analisi Transazionale la consapevolezza della propria posizione esistenziale consente di comunicare e creare rapporti in modo costruttivo socialmente, e in modo arricchente per sé stessi. Conoscere le posizioni esistenziali consente di scoprirsi capaci di affrontare cambiamenti e di superare difficoltà, senza perdere fiducia in sé e speranza nel futuro.

Ognuno di noi ovviamente, nel corso della vita, può sperimentare ognuna delle 4 posizioni esistenziali ma di solito è una in particolare a prevalere sulle altre, a seconda della natura, del temperamento e soprattutto delle esperienze infantili e dei rapporti coi genitori o con le figure educative durante il ciclo di sviluppo.

La posizione esistenziale “preferita” (della quale non siamo consapevoli prima di un lavoro introspettivo adeguato) influisce sulle esperienze e sul modo di affrontare le situazioni difficili e le avversità.

Secondo l’Analisi Transazionale di Berne, tuttavia è sempre possibile, attraverso un percorso di auto-conoscenza, mutare la propria posizione esistenziale in direzione di un benessere emotivo, fisico e relazionale. Diventare amici di sé stessi e andare incontro a sé prima che alle vecchie conoscenze … come nell’esempio che abbiamo sopra descritto. Ecco allora che possiamo arrivare a dire a noi stessi: Io sono Ok e anche gli altri lo sono!

Per dirla con le parole di Eric Berne “Si ottiene ciò per cui si dimostra apprezzamento”.

Rossella Maiore Tamponi – Paolo Lorenzo Salvi

coaching e processo di empowerment

Empowerment e Coaching

L’Empowerment è un processo di crescita dell’individuo basato sull’aumento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse non espresse e portare la persona ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale.

Questo processo può portare ad un cambiamento della percezione dei propri limiti in vista del raggiungimento di obiettivi personali. Empowerment significa aumentare il potere personale interiore ed aumentare le capacità, tuttavia per raggiungere dei risultati ottimali, è necessario applicarsi nel quotidiano. Il potere di una persona, insieme alle sue capacità e potenzialità, sono gli elementi essenziali per determinare la possibilità che si possa migliorare il carattere e rinforzarlo.

Il mio approccio al Coaching Narrativo (con competenza di Analisi Transazionale) favorisce il processo dell’Empowerment, dando supporto alla persona per raggiungere un maggior controllo sulla propria vita, aumentare il proprio senso di autoefficacia e la capacità di crearsi rappresentazioni mentali positive della situazione attuale e desiderata.

Durante il percorso di Coaching lavoro come professionista per individuare le risorse necessarie al fine di far raggiungere i propri obiettivi di vita e scegliamo insieme un piano di azione. Le azioni svolte per esercitare il controllo avvengono attraverso la partecipazione attiva del Coachee (chi segue un percorso di Coaching), grazie al sostegno offerto, per acquisire la consapevolezza delle proprie risorse esterne e interne e per poter mettere in atto il cambiamento desiderato.

Si possono così superare momenti di stallo nella vita personale o lavorativa, inerzia decisionale, tendenza a procrastinare, adattamento eccessivo e passivo alle situazioni, ovvero si supera il vissuto di una situazione di impotenza appresa. Con essa intendiamo lo stato di chi considera inutile adottare comportamenti che possano risolvere la situazione fonte di stress, ovvero:

  • Sentirsi in “scacco” (stallo completo e peso del giudizio degli altri)
  • Sfiduciato (non crede più in sé stesso, frustrazione e rinuncia a ai propri obiettivi)
  • Senza prospettive future (non saper che cosa fare del proprio futuro)
  • Vittima di eventi incontrollabili (i comportamenti giudicanti degli altri, le situazioni che vi bloccano, ecc.)

disempowerment

Ecco che a fronte di questi elementi entriamo in una fase di disempowerment, che accade quando la persona di fronte a un problema si demotiva, provando sentimento di inadeguatezza, di essere carente in qualcosa, il sentimento di chi non si sente più “in grado di”, con riferimento alle proprie aspettative di prestazione o di autorealizzazione.

Viene così a mancare la nostra capacità autonoma di cambiamento, l’espressione delle nostre abilità di problem solving e presa di decisioni per raggiungere i traguardi e gli obiettivi a cui teniamo. Si genera una insoddisfazione che mina la nostra autostima, ci fa sentire inefficaci, lasciandoci addosso quella sensazione di impotenza e una forte disillusione sul futuro.

L’Empowerment è la possibilità che tutti noi abbiamo di attivare un processo di rovesciamento della percezione dei nostri limiti, in vista del raggiungimento di risultati a volte sorprendenti e superiori alle proprie aspettative.Si può così raggiungere uno stato di speranza appresa, ovvero data dal fatto che il Coachee adesso dispone di:

  • Locus of Control interno (cambiare la situazione dipende da noi)
  • Motivazione all’azione (fare cose che ci coinvolgono e ci appassionano)
  • Percezione di competenza (soft skills allenate)
  • Percezione di autoefficacia (fiducia in sé stesso e capacità di affrontare la situazione)

Il processo di Empowerment ci porta infine ad acquisire maggiore controllo sulla nostra vita, avere più capacità di influenzare le nostre decisioni, ottenere le risorse che ci premettono di muoverci verso la nostra autorealizzazione e la consapevolezza di saper esprimere le nostre potenzialità. Il Coachee percepisce la possibilità di influenzare i risultati, riconosce la sua motivazione all’azione e rivaluta la propria considerazione di sé.ciclo di empowerment

Il Coaching mi ha insegnato che ogni Coachee è visto come una persona creativa e piena di risorse a cui il Coach offre il suo supporto professionale per modificare fattivamente parti di sé stesso partendo dal presente. Ha una sua tangibile concretezza basata sul prendere atto della situazione attuale e sull’agire per cambiarla che lo rende, probabilmente, così efficace.

Volutamente il coaching tralascia le cause del passato per concentrarsi con fiducia su ciò che la persona oggi può fare per eliminare zavorre inutili, migliorando così la sua qualità di vita. Inoltre, in qualità di Coach è mio compito far sì che il Coachee diventi capace di servirsi autonomamente degli strumenti appresi favorendo e sviluppando un senso di completezza, in modo da diventare auto-referenziato acquisendo completa gestione di sé.

Quello che ci possiamo portare a casa grazie ad un percorso di Coaching, rispetto all’obiettivo concordato, si esprime così in termini di Empowerment nella forma di un permesso che ci consente di “sentire di avere potere” e di “essere in grado di fare e di cambiare“.

Paolo Lorenzo Salvi

Il coaching alla resilienza

La resilienza come concetto e come capacità

Il Coaching alla resilienza allena la nostra capacità di rimanere adattivi quando siamo sotto pressione, per poterci riassestare nella nuova situazione.

  • In fisica la resilienza è la capacità di un materiale di resistere a un urto improvviso senza spezzarsi e deformarsi, ovvero la resistenza che un materiale offre alle azioni dinamiche esprimendo elasticità.
  • In biologia la resilienza è la capacità di auto-ripararsi dopo un danno. In ecologia tanto più un ecosistema è dotato di variabilità dei fattori ambientali, tanto più le specie che vi appartengono sono dotate di un’alta resilienza.

La resilienza dovrebbe essere ricompresa nelle Life Skills che l’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), ha riconosciuto come “competenze psicosociali” per la vita. Infatti, per ognuno di noi è fondamentale la capacità di riprendersi velocemente e senza conseguenze da eventi e circostanze negativi, ovvero la capacità di superare indenni le avversità e le ferite che la vita quotidiana ed alcuni eventi significativi ci riservano.

In un contesto lavorativo, la resilienza personale è la capacità di far fronte a problemi e sfide affrontati nella pratica del lavoro. Se si procrastina e non si affrontano i temi caldi e più impegnativi per noi, questi possono accumularsi sino al punto in cui non possiamo più affrontarli in modo funzionale. Ognuno di noi affronta la pressione negativa (stress) in modo diverso. Per alcuni, i problemi sono visti come una terribile sfida, mentre per altri la stessa situazione è semplicemente impegnativa. Ciò è dovuto a diversi fattori che adesso vediamo brevemente e per i quali sono stato ispirato dall’ottimo lavoro di Carole Pemberton sulla resilienza.

3 fattori che influenzano la resilienza

Tratti di personalità. Questa teoria ritiene che la personalità non sia nient’altro che la somma dei tratti del carattere di un individuo e che queste caratteristiche siano in grado di spiegare il comportamento osservato nelle persone. Ci sono persone che  sembrano  in grado di affrontare qualsiasi difficoltà e cadere sempre in piedi. Potrebbero essere “geneticamente benedetti”, ma anche coloro che sostengono il ruolo della genetica nella resilienza riconoscono che essa gioca solo una parte. Gli studi ci dicono che come siamo può essere spiegato in parte da fattori ereditari. La genetica influenza solo in parte il nostro comportamento.

Protezione e attaccamento sicuro. La possibilità di avere un attaccamento sicuro sin dall’infanzia, fornisce al bambino una “base sicura”. Questo concetto è stato elaborato da Bowlby sul finire degli anni ’60 e si riferisce ad un ambiente caratterizzato dalla figura materna, che permette al bambino di sentirsi pienamente protetto ed accettato. Così impariamo che quando siamo ansiosi, preoccupati o sconvolti possiamo essere rassicurati. Il bambino si sente sostenuto e questo gli permette di esplorare il mondo circostante senza timore. Nel corso del tempo sviluppiamo questa capacità per noi stessi, in modo che quando usciamo da soli nella realtà, abbiamo interiorizzato di poter gestire le difficoltà.

 Apprendimento dalle difficoltà. Molti ricercatori hanno inteso la resilienza come una capacità che si sviluppa nel tempo in relazione all’apprendimento. Piuttosto che stabilire a priori dei livelli di resilienza, c’è un continuum tra resilienza e vulnerabilità lungo il quale ci muoviamo costantemente.

Pertanto la resilienza si sviluppa lungo un processo che la considera come un elemento che viene in gran parte appreso incontrando fattori di stress e ottenendo fiducia, autostima e competenza nell’affrontare le sfide e le avversità. In questo approccio, la resilienza cresce nell’arco della nostra vita e non è una qualità speciale disponibile per pochi.

Carenza di resilienza

Talvolta la resilienza è fraintesa come la capacità di essere corazzati contro le difficoltà. Avere sempre avuto successo può significare che coloro che riconosciamo “talentuosi” sono a volte i meno preparati per affrontare le deviazioni da ciò che si aspettano. La persona che si è sempre posizionata nella casella alto potenziale/alte prestazioni della griglia del talento può essere la meno attrezzata per affrontare difficoltà impreviste. È come se sciando fossimo finiti in un tratto di fuoripista e non siamo mai stati abituati ed allenati ad affrontare quel terreno e quelle virate impreviste.

Ecco allora cosa succede se abbiamo una carenza di resilienza:

  • Perdita di fiducia in sé stessi.
  • Difficoltà nel prendere decisioni e senso di incertezza e frustrazione.
  • Creatività ridotta, non siamo più capaci di generare alternative, vedere opzioni e valutarle per scegliere strategie di azione.
  • Difficoltà nel gestire le proprie emozioni e quindi amplificazione dei nostri stati d’animo.
  • Desiderio ridotto di contatto sociale, come se vedessimo minacce nella relazione con gli altri al nostro precario equilibrio. Il desiderio di ritirarci in noi stessi aumenta il disagio.

Il coaching alla resilienza

Vedere la resilienza come una capacità appresa dall’esperienza non ci protegge dall’essere destabilizzati. Questo significa che dobbiamo imparare a gestire la reazione allo stress, in modo che sia di breve durata.  Significa anche che ognuno di noi può continuare a funzionare in molte aree della vita, ma patisce un’area specifica incontrando una difficoltà particolare legata ad essa.

Ecco che il coaching alla resilienza porta a centrare il focus su ciò che determina la carenza di resilienza rispetto ad altre condizioni legate allo stress che invece sappiamo gestire. Una persona potrebbe aver perso la resilienza riguardo a un aspetto specifico ed essere psicologicamente a posto e continuare ad avere comportamenti funzionali in altri ambiti.

Tale stress può derivare da un evento unico, come una battuta d’arresto della carriera o la fine di una relazione. Può anche venire dall’essere esposto a richieste incessanti per un periodo di tempo. Sempre più spesso ci viene chiesto di fare di più, più velocemente, con meno risorse e con  scadenze assillanti.

Il coaching sulla resilienza si concentra su quali aspetti della tua resilienza sono stati influenzati e resi carenti rispetto ai 3 fattori che abbiamo considerato prima e sulla costruzione della capacità. Come un allenatore personale il mio lavoro come Coach consiste nel rafforzare la capacità di rimanere flessibile nei pensieri, nei comportamenti e nelle emozioni quando si è in carenza di resilienza per uno specifico stress. Il coaching sulla resilienza ci sostiene e ci aiuta a:

  • Capire cos’è la resilienza in pratica e in che modo possiamo valorizzarla come la nostra personale combinazione di genetica, disponibilità di fattori protettivi e apprendimento.
  • Esprimere la nostra identità narrativa, come variabile chiave della resilienza di fronte ad una difficoltà significativa della vita, al fine di migliorare la propria narrazione.
  • Imparare a proteggerci per il futuro, ponendo il focus sulla costruzione della protezione attraverso strategie di azione e feedback, oltre che sul rafforzamento di capacità interne.

La vita è per il 10% cosa ti accade e per il 90% come reagisci. (Charles R. Swindoll)