Maieutica del lavoro e dell’organizzazione con il Coaching

Innovazione per l’impresa? subito ed in modo Agile

Innovazione si, ma Agile. Il tema dell’innovazione Agile rappresenta il “link” fra businessorganizzazione e persone. È una innovazione alla portata di tutte le imprese, in quanto richiede risorse più di natura culturale e cognitiva rispetto all’impiego di risorse economiche.

Le sfide che riguardano oggi le imprese richiedono in estrema sintesi di comprendere, creare e trasferire il valore dei prodotti e servizi, essere competitive e attrattive per i propri clienti e ottimizzare al meglio le risorse. Questa complessità richiede di pensare alle dimensioni che riguardano l’innovazione personale, quella organizzativa e di business con un approccio Agile. Occorre procedere innovando la cultura dell’azienda e confrontarsi con i concetti chiave del pensiero organizzativo attuale: mindset, approccio empirico ai processi, conversazioni, co-creazione in team auto-organizzati, Servant leadership, essere customer-centrici.

L’aspetto Agile è quello che si appoggia alle persone, alle idee e alla progettualità, al cambiamento sostenibile nelle organizzazioni, che non sarà quello ideale ma senz’altro può attivare dei percorsi di miglioramento incrementale e sostanziale. Ecco che l’innovazione Agile può procedere per incrementi e non per salti, trovando soluzioni che richiedono sia metodo e sia creatività, ovvero:

  • definire contenuti caratterizzanti per innovare i ruoli aziendali oltre la dimensione prescrittiva della mansione, aumentando l’autonomia gestionale e relazionale dei team;
  • collavorare” insieme creando sinergie tra ruoli, sia in luoghi fisici (riunioni dei team e work-shop) e sia utilizzando le potenzialità dello Smart Working;
  • adottare la “leadership facilitativa” (o Servant Leadership) e non direttiva, che aiuta i processi a fluireverso il cliente finale e accresce il team-building in azienda;
  • co-creare e proporre un valore unico e distintivo dei propri prodotti servizi rispetto alla concorrenza, coinvolgendo il Cliente nella Catena del Valore.

Innovazione personale, organizzativa e di business realizzata in modo Agile, vediamo come. 

L’innovazione inizia dalle persone.

Non si può pensare di fare innovazione di prodotto o di processo (quindi nelle dimensioni più ampie dell’organizzazione e del business) senza pensare che il primo impegno per l’innovazione è personale. Se non siamo disposti a metterci in gioco, se non siamo disposti a essere consapevoli che cambiare, migliorare, innovare, comporta anche il rischio dell’errore e del fallimento, che ci vuole impegno, fatica e gestione dell’incertezza, allora non ha senso pensare ad altre dimensioni di innovazione.

L’organizzazione richiede più qualità, più competenza, efficacia ed efficienza, espresse da risultati e comportamenti. La persona richiede invece partecipazione, sostegno, collaborazione. Tutti questi aspetti sono fortemente dentro l’innovazione Agile e possono essere di stimolo per riconsiderare in modo più ampio il ruolo di “capi” e quello dei collaboratori. Come “ingaggiare” meglio le persone rispetto ai temi dell’innovazione organizzativa e di business? Come abilitare modalità Agili e nuove pratiche di lavoro per sostenere le idee innovative? Come rendere la collaborazione un fattore di empowerment, condividendo saperi, esperienze, know-how e problemi risolti? Ecco il senso dell’innovazione di ruolo.

L’innovazione comprende poi l’organizzazione del lavoro. 

Si “in-nova” nell’ambito già definito di attività, processi, idee, prodotti fisici e del pensiero che sono accessibili e che sono migliorabili per incrementi, per passaggi adattivi che avvicinano il valore ottenuto a quello atteso dal Cliente. Tuttavia si innova anche quando si rende capillare la creazione e la diffusione della conoscenza nei processi aziendali, integrandola nel modo di lavorare delle persone.

Si sollecita il tema dell’innovazione Agile anche per creare alcune discontinuità, nuove consapevolezze, nuove forme di collaborazione e nuovi modelli organizzativi. Si introduce così l’ambito della “novazione”, ovvero i cambiamenti più radicali: accettare la sfida di pensare ad una trasformazione del reale più profonda, rivolta a mettere le basi per nuovi sviluppi organizzativi e nuovi ruoli. Organizzazioni snelle, piatte, team-based, ovvero molto più orientate all’incrocio delle competenze delle persone con lo sviluppo di prodotto ed i progetti di miglioramento. Si adottano pratiche Agili quali SCRUM o il Project Management Agile, gruppi di lavoro T-shaped e Customer-centrici, si implementano gli OKRs per allineare strategia e micro-strategia con l’operatività.

Infine, si arriva alla innovazione del business model.

Potenziali clienti e consumatori sono sempre più attenti, informati e consapevoli in quanto sono connessi e conversano on-line! Occorrono idee nuove per riflettere sulla costruzione di relazioni ad alto valore aggiunto con il mercato. L’innovazione del modello di business rappresenta la nuova frontiera.

Innovare il modello di business comporta quindi la ridefinizione del perimetro di azione dell’azienda, ovvero la riconfigurazione del contesto nel quale l’impresa svolge la propria attività. Viene rielaborata la “Vision” d’impresa e si arriva a creare un valore per i clienti strutturato diversamente per il futuro.

Prendendo spunto dal pensiero strategico di D. Bell le aziende operano scelte fondamentali rispetto ai seguenti elementi: CHI (quali gruppi di clienti serviamo) – COSA (funzioni di uso dei prodotti servizi forniti e benefici ottenuti) – COME (tecnologie e processi impiegati per realizzare e comunicare i prodotti servizi realizzati).

Nell’innovazione di business si cercano nuove risposte alle domande:

  • chi sono i nostri clienti”? ovvero nuove risposte in relazione a nuove esigenze o esigenze prima non soddisfatte;
  • quali prodotti e servizi vogliamo offrire”? ovvero una nuova proposta di valore con maggiore beneficio per i clienti;
  • con quali tecnologie, sistemi, processi e competenze distintive vogliamo produrre, comunicare e vendere i nostri prodotti e servizi ai clienti?”

Uno dei pensatori più influenti per il management del XXI secolo è Gary Hamel, il quale dice che innovare il business parte dalla premessa che “ciò che non è differente non è strategico”, per cui occorre saper “immaginare” e progettare modelli di attività dell’impresa nuovi, diversi.

3 dimensioni: persone, organizzazione e business model e resta sempre fondamentale il contributo di ognuno di noi come individuo unico e speciale. L’unicità della proposta di valore dell’impresa verrà creata dalle persone, grazie alla loro motivazione al cambiamento e all’applicazione delle competenze possedute dentro un modo di lavorare diverso.

Il Mindset Agile rende tutto questo un percorso possibile, sfidante, entusiasmante.

Objectives and Key Results

Breve storia degli OKR

Introduzione agli OKR

Professionisti, team e organizzazioni di successo stanno utilizzando il metodo OKR – “Objectives and Key Results” per concentrarsi su ciò che è veramente importante raggiungere.

La finalità degli OKR è definire come raggiungere gli obiettivi attraverso azioni concrete, specifiche e misurabili. Gli OKR sono un modo efficiente per monitorare gli obiettivi dell’azienda, del team e del singolo professionista e misurare i loro progressi.

Avere una buona conoscenza degli OKR ci porta ad avere il focus su che conta veramente e poter collegare il lavoro a tutti i livelli dell’organizzazione agli obiettivi più rilevanti. Quando gli OKR sono condivisi nell’impresa, forniscono ai team la visibilità degli obiettivi che portano all’allineamento degli sforzi e ad un focus radicale sui traguardi da raggiungere.

Obiettivi e Risultati Chiave

Partiamo dal Management by Ojectives

Già nel 1954, un concetto di gestione noto come Management by Objectives (MBO), ovvero la Gestione per Obiettivi, fu introdotto dal professor Drucker, un guru di fama mondiale nella gestione. È stato proposto nel libro “The Practice of Management”, uno dei classici libri di testo in management. Cos’è veramente l’MBO?

Un processo durante il quale il management ed i dipendenti definiscono e concordano gli obiettivi e cosa devono fare per raggiungerli. L’idea che un manager avrebbe fissato un obiettivo e poi fidarsi del suo team per realizzarlo, certamente operando un processo di delega, era un passaggio rilevante e più efficiente dagli approcci fordisti del comando e controllo dell’età industriale.

Il concetto era abbastanza popolare e adottato da grandi aziende come Hewlett-Packard, Xerox, DuPont e Intel. Come potevano i manager sapere che l’obiettivo si era raggiunto o meno? La risposta è nella misurazione del risultato ottenuto a fronte dell’obiettivo stabilito.

La prima versione degli OKR

La messa a punto del primo approccio agli OKR è stata realizzata ad Andy Grove, allora direttore operativo e poi CEO di Intel. Negli anni ’70, Intel era un’impresa in crescita, in fase di evoluzione e riorganizzazione per competere e affermarsi nel nuovo e promettente mercato dei microprocessori.

L’MBO è stato modificato da Intel nel periodo in cui è stato del CEO Andy Grove. Si possono

  • la misurazione è stata eseguita più frequentemente, ad esempio trimestrale o addirittura mensile.
  • Si sono utilizzati approcci sia dall’alto verso il basso che dal basso verso l’alto. Di base gli obiettivi nell’approccio MBO erano per lo più dall’alto verso il basso, il che comporta che il management li ha formulati e spinti verso il basso lungo la catena di comando. Tuttavia, Andy Grove voleva cambiare la situazione consentendo ai membri del personale di fissare i propri obiettivi.
  • Ci si è orientati verso la formulazione di obiettivi da rendere più impegnativi e sfidanti.

Nel famoso manuale di gestione di Grove “High Output Management” (1983), introdusse gli OKRs rispondendo due semplici domande:

  1. Dove voglio andare?
  2. Come lo farò a sapere che ci sto arrivando?

In sostanza, quali sono i miei obiettivi e di quali risultati chiave ho bisogno per tenere d’occhio l’avanzamento e per essere sicuro del progresso? E così sono nati gli OKR.

Nel 1975, John Doerr, all’epoca un venditore che lavorava per Intel, frequentò un corso all’interno di Intel tenuto da Andy Grove dove fu introdotto alla teoria degli “iMBO” per “Intel Management by Objectives” (fonte Wikipwedia).

John Doerr da dirigente che aveva lavorato con Andy Grove divenne un investitore. Si può affermare che fu uno dei principali investitori di Google quando era ancora una startup poco conosciuta. Essendosi sentito a proprio agio con gli OKR sin dal periodo in cui aveva lavorato per Intel, John Doerr propose il metodo ai due fondatori di Google (Larry Page e Sergey Brin) e loro furono d’accordo a sperimentarli. Questo è stato il punto di partenza da cui Google ha accolto gli OKR.

La consacrazione del metodo OKR

Nel 1999, John Doerr ha introdotto la metodologia di definizione degli obiettivi di OKR in Google, avendo appreso questo modello per la prima volta mentre era in Intel.

Sono stato toccato per la prima volta agli OKR di Intel negli anni ’70. In quel momento, Intel stava passando da una società che produceva “”memoria” ad una società produttrice di microprocessori e Andy Grove e il team di gestione avevano necessità che i dipendenti si dovessero concentrare su una serie di priorità per avere successo nella transizione.

La creazione del sistema OKR ha aiutato moltissimo e ci siamo tutti convertiti al suo utilizzo. Ricordo di essere stato incuriosito dall’idea di avere un “faro” o una “stella del nord” ogni trimestre, e questa cosa mi ha aiutato a impostare le mie priorità.

È stato anche incredibilmente potente per me vedere gli OKRs di Andy, gli OKRs del mio manager e gli OKRs dei miei colleghi. Ero in grado di collegare rapidamente il mio lavoro direttamente agli obiettivi dell’azienda. Ho tenuto i miei OKRs ben visibili nel mio ufficio e ogni trimestre scrivevo dei nuovi OKR, e il sistema è rimasto con me da allora.”

Da Google e Zynga, entrambe società in cui Doerr ha investito e supportato, la metodologia di definizione degli obiettivi OKR si è diffusa a realtà quali LinkedIn, GoPro, Flipboard, Spotify, Box, Paperless Post, Eventbrite, Edmunds.com, Oracle, Sears, Twitter, G.E. e altri.

Così gli OKR (Objectives & Key Results) da approccio inventato in Intel e messo a punto grazie a John Doherr, è stato poi ulteriormente sviluppato all’interno di aziende di grandi dimensioni. Attualmente questo principio è stato adattato per soddisfare le esigenze di aziende, imprenditori / professionisti e start-up di tutte le dimensioni, in particolare coloro che desiderano compiere rapidi progressi e uno sviluppo significativo con una visione aperta del raggiungimento degli obiettivi e di pianificazione agile del proprio progetto.

Occhiali 3D per il nostro lavoro con il Career Coaching

Il Career Coaching aiuta le persone nello sviluppo del ruolo professionale e stimola le capacità proprie di ognuno di noi a rispondere in modo originale ai requisiti della situazione lavorativa, esprimendo le proprie risorse di conoscenza e le abilità di comportamento.

Il Coaching che pratico porta le persone a ridefinire il contenuto del loro ruolo in base alle attese di comportamento (collegate alle capacità personali) e ai requisiti di prestazione (collegati alla posizione di lavoro), che derivano dall’inserimento in un sistema di lavoro caratterizzato da fasi ed attività: i processi di lavoro. E’ un approccio tridimensionale che aumenta la profondità dello sguardo e sviluppa la consapevolezza della visione integrata su 3 dimensioni: quella operativa e realizzativa, quella gestionale e quella relazionale.

I ruoli sono tra loro interdipendenti e collocati in un ambito organizzativo specifico per ogni impresa. Partendo da questa considerazione si possono superare le contrapposizioni tra:

  • l’aspetto individuale versus la funzione aziendale di appartenenza o l’ambito del gruppo di lavoro;
  • l’oggettività dei compiti (mansioni) versus la soggettività individuale (capacità).

Possiamo leggere il nostro ruolo con delle lenti nuove, capaci di darci una visione 3D, applicabile nei diversi contesti lavorativi, per sviluppare i punti di forza e migliorare i punti di debolezza in ciascuna delle dimensioni.

La dimensione operativa e realizzativa

In ogni lavoro c’è sempre una complessità da cogliere per produrre gli output finali di competenza del ruolo lavorativo. Il Career Coaching aiuta le persone a mettere a fuoco i saperi di base e le competenze operative e specialistiche necessarie per operare utilmente.

  • Cosa occorre conoscere per svolgere i task lavorativi?
  • Quali strumenti sono da padroneggiare?
  • Che tipo di know-how bisogna esprimere rispetto al grado di incertezza che si affronta, per produrre risultati non sempre ben definibili a priori?

Ecco che non conta solo la parte procedurale e codificata del proprio lavoro. Il Coaching ci aiuta a focalizzare anche la probabilità di avere imprevisti, varianze, eccezioni e di saperle gestire operativamente. Approcci, atteggiamenti, metodologie che incidono positivamente sulla dimensione del saper fare.

La dimensione gestionale

Autonomia e responsabilità. Entra in gioco la rilevanza della responsabilità decisionale e comunque di gestione, riferita in modo combinato a risorse economiche e alla collaborazione di persone. Con il Career Coaching si può sviluppare la consapevolezza di quanto ampie e delicate siano le eventuali risorse economiche e/o umane assegnate, cioè sotto la responsabilità del ruolo.

  • Di quali tipologie di risorse ho bisogno per raggiungere gli obiettivi di lavoro?
  • Come sono state concordate le risorse e gli obiettivi?
  • Come prendere le decisioni giuste?

Sono alcune delle domande che riguardano la crescita di un ruolo nella dimensione verticale. Servono le lenti che ci fanno staccare dalle contingenze di uno specifico lavoro per integrare gli aspetti base di un saper essere di natura manageriale.

La dimensione relazionale

L’ambito comunicativo di ogni ruolo lavorativo comprende forme di relazione a 360 gradi. Le domande cruciali da affrontare con il supporto del Coaching riguardano la delicatezza e la complessità della relazioni da attivare e mantenere per ottenere risorse, informazioni, supporto, consenso dai vari interlocutori: clienti/fornitori sia esterni che interni all’azienda, colleghi, capi, interlocutori istituzionali.

  • Quali relazioni sono cruciali e come gestirle?
  • Quali competenze comunicative applicare e come accrescerle?
  • Come poter esercitare influenza senza disporre della leva gerarchica?

Anche in questo caso le lenti da utilizzare sono quelle che rendono più nitido il saper essere relazionale. La molecola di base del lavoro non è la singola persona, ma l’ambito del gruppo, del lavorare insieme con gli altri.

Galileo Galilei ha detto che “Non puoi insegnare qualcosa ad un uomo. Puoi solo insegnargli a scoprirla dentro di sé.” Le lenti 3D del Career Coaching aiutano a scoprire cosa c’è nel proprio ruolo lavorativo: una visione tridimensionale dove c’è maggiore ricchezza di particolari e una nuova prospettiva personale e di carriera.

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“Surfare” il cambiamento nel Business con il coaching organizzativo

Il cambiamento non è una opzione ma una soluzione in continuo divenire. Ecco 4 chiavi di lettura per gestirlo al meglio con il supporto del coaching organizzativo. Competere nel Business richiede oggi approcci integrati e visione sistemica: surfare fra le onde del cambiamento ci porta a viverlo da protagonisti piuttosto che subirlo.

Run faster and think better

Ripenso al tema del “buon uso della lentezza” e del suo spazio necessario, alla dimensione dell’ozio creativo per dirla con le parole di Domenico De Masi. Aspetti fondamentali. Per questo trovo utile ricercare un modo per esprimere la dialettica tra lentezza e velocità, anche in modo “filosofico” e concettuale. Mi aiuta, come Coach, pensare all’approccio dello Yin e dello Yang.

La velocità (lo yang) oggi è imprescindibile per “stare nel business”: nei mari agitati occorre saper nuotare meglio e non si può aspettare che le acque si plachino: il rischio è di affogare!

Pensiamo al nostro lavoro. La velocità di risposta alle esigenze del proprio contesto aziendale, alle richieste dei capi e dei colleghi, ai bisogni dei clienti, alla risoluzione dei problemi, alla circolazione delle informazioni. La velocità è propria del mondo connesso e globale, dove il tempo presente è il tempo che conta per esprimere la prestazione che fa la differenza. Poi cerchiamo il tempo per costruire con più ponderatezza (lentezza) il futuro, la vision.

Nel Coaching sviluppiamo la riflessione (lo yin) ed il “re-energize”, diamo spazio dell’ascolto e alla consapevolezza, ci prepariamo a riaprire la porta del mondo… un mondo che va veloce. Come un buon allenatore, il Coach aiuta il Coachee e l’Organizzazione a gestire e valorizzare questi continui “stop and go” dai quali siamo sfidati nel contesto di lavoro. Possiamo gestire al meglio le accelerazioni e l’efficienza, possiamo rendere strategico il pensiero più lento, ritrovare la nostra via dell’efficacia.

Ma una volta sul campo, il cambiamento richiede velocità e ritmo. Run faster and think better: corri più veloce e pensa meglio e come nel calcio, potrai vincere la partita. Tutto parte, come sempre, dalle persone.

Conversations are the rules

Coinvolgimento, collaborazione e co-creazione, sono le 3C a cui mi riferisco spesso quando mi occupo di sviluppo organizzativo. Prima di tutto tornano alla ribalta gli aspetti essenziali della comunicazione: ascoltare e dare feedback.

Quasi tutti i ruoli lavorativi hanno ormai una dimensione relazionale rilevante, dove si ascolta l’altro, si danno e si ricevono feedback, si scambiamo contenuti, si crea dialogo. I punti di vista diversi sono fondamentali per generare un valore aggiunto in ogni scambio comunicativo, specie in ambito lavorativoConversazioni a 360° nello spirito del Cluetrain Manifesto, fra colleghi, fra reparti e settori aziendali, con fornitori e clienti, con interlocutori aziendali a vario titolo.

“We’re not in the business of keeping the media companies alive. We’re in the business of connecting with consumers.” Trevor Edwards

Le conversazioni che si basano su ascolto reciproco e scambio, generano opportunità! Il Coaching organizzativo, dal mio punto di vista, stimola nei ruoli le “soft skills” fondamentali per la conversazione: assertività, ascolto empatico e storytelling.

Inside-out the customer’s role

Per molte persone che lavorano in azienda, il cliente finale può non esistere. Il loro contributo lavorativo non arriva direttamente a lui, bensì confluisce in un processo di lavoro che si innesta in altri processi di lavoro, uno dei quali alla fine porterà il prodotto\servizio al cliente ultimo. Ognuno di noi, come cliente, vuole all’essenza poche cose:

  • essere “curato” per avere la giusta attenzione e considerazione;
  • ricevere un valore aggiunto superiore al sacrificio economico (non solo economico) che sta effettuando;
  • veder soddisfatte le sue esigenze e\o risolti i problemi che sentiva propri;
  • la personalizzazione ove possibile: abbiamo un codice fiscale univoco, vogliamo sentirci clienti univoci!

I clienti sono “inside-out”, dentro e fuori le imprese. Il coaching organizzativo ci aiuta a ripensare questa fondamentale rete di rapporti di valore. Nel nostro lavoro siamo clienti di alcuni ruoli, in quanto destinatari di input/indicazioni/risorse/direttive/informazioni/supporto e fornitori di altri. E’ così che si arriva al cliente finale, quando ogni persona che lavora in azienda vede con chiarezza la rete di rapporti cliente-fornitore interni che lo riguardano e si impegna per gestirli al meglio.

Il coaching organizzativo che svolgo si appoggia molto alla dimensione del team coaching, per sviluppare nelle persone che lavorano questa consapevolezza e responsabilità: inside-out the customers’ role.

Value is in the flow

Il valore che i clienti percepiscono, che ci fa apprezzare come lavoratori e come impresa, non viene dagli organigrammi aziendali. Il valore si genera nel flusso delle attività, nei processi di lavoro che sono interconnessi, i quali producono, elaborano, trasformano gli input in output, aggiungendo ad ogni passaggio. L’Organizzazione del Lavoro è un flusso di processi che partono dall’esterno (i fornitori di beni, servizi e lavori), attraversano le funzioni aziendali e arrivano al cliente finale aggiungendo valore ad ogni passaggio: customer care, esigenze\problemi risolti, valore percepito rispetto alle attese, personalizzazione.

Il coaching organizzativo è un coaching di valore, proprio perché ci aiuta a “vedere” l’organizzazione reale, quella che collega persone, competenze e processi aziendali. C’è un potenziale organizzativo da esprimere nel ripensare a come si lavora insieme, a come ridefinire i flussi di lavoro, quali “soft skills” sviluppare che generino valore e diventino talento.

Per concludere torno al livello immaginativo: “surfare” è uno scorrere leggero ma efficace, richiede dinamismo ed equilibrio per vivere il cambiamento e scegliere quali traiettorie e quali modalità praticare nel nostro lavoro e nel business. Le onde arrivano,… prepariamo la tavola!

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Coaching organizzativo: i verbi per descrivere il lavoro

Come collegare i compiti ed i task di una posizione di lavoro per arrivare al concetto di ruolo? Il coaching organizzativo ci può aiutare. Ogni lavoro che svolgiamo ha uno scopo, delle finalità, la sua ragion d’essere all’interno dell’organizzazione. Esplorare questa parte permette di riconoscere con immediatezza la natura e gli obiettivi primari del Job.

Il coaching organizzativo che pratico enfatizza gli obiettivi e quindi le azioni che le persone, supportate dal Coach, mettono in atto per raggiungerli. Trovo assai utile questo approccio per supportare il Coachee a chiarire, nelle linee generali, le finalità organizzative della sua posizione di lavoro e le attività principali da presidiare e svolgere.  

Si possono aiutare le persone a fare chiarezza sui “doveri” insiti nel proprio lavoro, grazie ad una moderna Job Analysis, per ricoprire una posizione organizzativa al meglio delle nostre possibilità.  Per individuare i compiti principali del Job possiamo ricorrere alle macro-categorie dei task per poi ripartirli nelle 3 tipologie fondamentali: task operativi, task gestionali e task relazionali.

La metodologia che preferisco per rappresentare i task è quella di esprimerli come azioni, utilizzando alcuni verbi chiave accompagnati da un complemento oggetto, per esempio “verificare” il “livello delle scorte” (c’è poi un come..) in magazzino.

Task Operativi

Quando come Coach esploro con il Coachee i task operativi che sono da mettere a fuoco per il proprio lavoro, il criterio guida è quello dell’efficienza. Le domande riguardano essenzialmente quali sono le operazioni da compiere e quali sono i vincoli da rispettare Rientrano in questo ambito del lavoro anche gli standard da assicurare/rispettare.

Infine c’è tutta l’area degli strumenti di lavoro che si utilizzano, in quanto collegati direttamente ai compiti esecutivi e che occorre “saper maneggiare”. Ecco alcuni verbi chiave che traggo dalla mia esperienza in ambito organizzativo (ambito delle Job Description) ed esprimono la natura dei task operativi (verbi che hanno diversi sinonimi).

  • Eseguire: caratterizza lo svolgimento delle “operazioni” del flusso di lavoro
  • Fornire: esprime la dinamica cliente interno – fornitore interno
  • Mantenere (Intervenire): indica il concetto di ripristino e mantenimento del flusso di lavoro.
  • Programmare (auto-organizzarsi): il livello minimo di auto-organizzazione se riferito al proprio tempo e alle attività da svolgere nella loro sequenza.
  • Controllare: definisce il tipo di controlli operativi che sono insiti nello svolgimento delle attività.
  • Contribuire: esprime una forma di partecipazione ad attività che sono rilevanti per i flussi di lavoro collegati.

Verbi per il JOB e Coaching organizzativo

Task Gestionali

Questa è la parte più delicata per sviluppare i temi della consapevolezza e della responsabilità e  collegarli al concetto di autonomia nel proprio lavoro. Come Coach le domande sono collegate al criterio guida dell’efficacia e sono in relazione agli obiettivi del Job. In questo ambito per me è fondamentale la messa a fuoco della propria autonomia nella gestione del lavoro in relazione agli obiettivi di ruolo, reparto, area, impresa. E’ un passaggio fondamentale per quelle che definisco le 3C: coinvolgimento, collaborazione, co-creazione.

Le domande come Coach riguardano essenzialmente la parte più discrezionale del lavoro che svolge il Coachee, per fare chiarezza sugli obiettivi da raggiungere e su quali leve/risorse possono essere utilizzate.

Di seguito propongo dei verbi chiave che esprimono le caratteristiche dei task gestionali ed il grado di autonomia del Job.

  • Decidere (valutare): caratterizziamo l’ambito della nostra influenza sugli obiettivi e sui risultati ottenuti.
  • Coordinare: la supervisione delle attività e dei contributi dei vari attori del flusso di lavoro.
  • Sviluppare (migliorare): la parte di implementazione che può essere svolta con un certo grado di autonomia.
  • Pianificare (organizzare): definire le priorità del lavoro e le tempistiche, incidendo fortemente sulla qualità del risultato.
  • Assicurare: un certo livello di prestazioni nel tempo od un contributo specialistico.
  • Proporre: esprime il contributo più legato al tema dell’innovazione.

Task relazionali

Questa è la parte che fa “scorrere il lavoro”, ovvero attraverso le relazioni si esprimono le connessioni di interfinalità del lavoro ed i rapporti che le qualificano. Nel Coaching organizzativo la rilevanza delle relazioni è fondamentale per l’integrazione degli obiettivi, ovvero permette la collaborazione e la co-creazione delle 3C (unitamente al coinvolgimento).

Le mie domande come Coach sono volte a fare chiarezza su chi riceve contributi dalla posizione di lavoro del Coachee o li fornisce ad essa e in generale sulle relazioni a 360° che interessano lo svolgimento del Job (colleghi, capi, clienti, fornitori, interlocutori). Anche in questo caso individuo alcuni verbi chiave che aiutano a focalizzare i task relazionali.

  • Comunicare: l’attività che è al tempo stesso una competenza cruciale per il lavoro: qualunque Job è inserito in un sistema di relazioni.
  • Collaborare: definisce la natura sociale e aggregativa del lavoro, dove il contributo richiesto è saper lavorare in team.
  • Partecipare: esprime il coinvolgimento formale in alcune attività/altri Job nei quali è richiesta una forma di supporto.
  • Redigere (elaborare): esprime la parte di consuntivazione/elaborazione di dati e informazioni che sono funzionali allo svolgimento del Job o alla sua valutazione.
  • Informare: individua le relazioni che devono essere tenute ai fini della circolazione delle informazioni rilevanti.
  • Raccogliere: esprime la fase  di ricerca/collegamento con altri ruoli per mettere insieme/ricercare informazioni funzionali allo svolgimento del lavoro.

Dal Job al ruolo: una visione di insieme

Anche in questo caso prediligo la “visual organization” e mi piace un Coaching organizzativo capace di “far vedere” il proprio lavoro, espresso attraverso i saperi ed i task operativi, gestionali e relazionali.  Il passaggio successivo è quello di collegare alcuni verbi di azione per declinare in modo accessibile e fruibile a tutti il concetto più tradizionale della Job Description.

Collegando le azioni che svolgiamo nel nostro lavoro alle tipologie di task, possiamo rappresentarle in un Quadrante del Job più evoluto, sintetico e al tempo stesso semantico, che ci aiuta a focalizzare i contenuti nostro lavoro. Come Coach trovo sia il primo passo da fare nell’ambito del Coaching organizzativo, ovvero portare il Coachee a sviluppare consapevolezza della complessa semplicità della sua posizione lavorativa.

Il prossimo passo sarà collegare al Job le competenze, le quali consentono di esprimere la dinamica della posizione di lavoro e danno vita vera al Job. E’ giunto il tempo delle persone al centro, con i loro ruoli.

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