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Le carezze: come ci riconosciamo nei rapporti umani

Di carezza in carezza: come “filtriamo” i complimenti

I messaggi, verbali e non verbali, che implicano un riconoscimento da parte dell’altro al nostro fare o al nostro essere sono denominati carezze in Analisi Transazionale. Con questo termine si traduce in modo approssimativo l’inglese “stroke”, che possiede un’ accezione più neutra e significa colpo, tocco. Vediamo cosa succede nella realtà quotidiana quando abbiamo a che fare con quelle particolari carezze che esprimono complimenti o apprezzamenti.

Accettare un complimento non è una cosa scontata ... I complimenti, le forme di riconoscimento positivo, sono ambite da tutti noi e da tutti ricercate più o meno consapevolmente, sono lo strumento che utilizziamo per stabilire “l’indice di gradimentodella nostra persona nel mondo, o per valutare le nostre capacità professionali in un contesto, per confermare o modificare la nostra percezione di noi stessi.

A un’attenta osservazione, davanti a un complimento, le cose non sono sempre del tutto chiare. Accade di pensare: “… lo dice ma non ci crede veramente …”, oppure “dice che sono simpatica perché non sono bella …”, o ancora “lo dice perché vuole ottenere qualcosa …”, “… lo dice solo per incoraggiarmi …”. Si tratta spesso di stratagemmi inconsapevoli che utilizziamo per “filtrare” i riconoscimenti positivi, e questi stratagemmi dipendono dalla “quantità” di complimenti che riusciamo “a reggere”, a seconda della nostra personalità e, soprattutto, delle forme di riconoscimento che abbiamo ricevuto nell’infanzia e nell’adolescenza.

Carezze positive e negative, condizionate e incondizionate

Le carezze possono essere positive o negative, a seconda che contengano approvazione o disapprovazione, o che facciano riferimento a una qualità o a un “difetto”. Ci sono carezze positive condizionate, cioè motivate da qualcosa che abbiamo fatto: “complimenti!”, “hai fatto un ottimo lavoro”, “che bel disegno!”; e ci sono carezze negative condizionate come “non mi è piaciuto quello che hai detto …” oppure “ti sei comportato in modo scortese …”.

  • Le carezze condizionate si riferiscono a un comportamento, a una performance, e pertanto non investono la persona nella sua totalità e identità.
  • Le carezze incondizionate riguardano invece l’essere nella sua interezza: “ti voglio bene”, “sei sensibile”, “mi sei simpatico”.

Sono carezze positive incondizionate anche un semplice sorriso, o un abbraccio spontaneo.

Carezze ambigue e fasulle

Ci sono poi carezze scivolose, ambigue o fasulle, come: “bello … ma potevi fare di meglio”, oppure “per essere un po’ in carne sei bellissima”, o ancora “vedo che hai capito più o meno …”. In questo caso la carezza pecca di autenticità viene elargita e contemporaneamente ritirata, oppure attenuata. All’estremo troviamo le carezze di plastica, quando riceviamo un apprezzamento in modo formale e di circostanza, percependo chiaramente una mancanza di schiettezza.

Il nostro modo di riconoscere l’altro

Quello che si rivela particolarmente interessante riguarda il nostro modo personale di dare o ricevere carezze che dipende dal modo in cui abbiamo fatto esperienza dei riconoscimenti nel corso della nostra storia di vita. Se abbiamo ricevuto poche carezze o ne abbiamo ricevute in abbondanza di negative facilmente finiremo per interpretare una dimostrazione di stima come una frase compassionevole (“lo dice solo per lusingarmi … ma non lo pensa veramente …”), così come un’opinione diversa dalla nostra può diventare il ripiego per rafforzare la convinzione di non essere abbastanza intelligenti o di essere incompresi (“ecco, non riesco mai ad esprimermi …; non mi capiscono …”).

Insomma, abbiamo un nostro “filtrodelle carezze un meccanismo interiore e inconsapevole per far passare solo quelle che vanno a confermare l’idea che abbiamo di noi stessi. Questo può andare sia in direzione del rafforzamento della nostra autostima, sia in direzione di una conferma del nostro sentirci inadeguati o “inferiori”.

L’economia delle carezze

Lo psicologo clinico e analista transazionale Claude M. Steiner analizzava negli anni ‘70 le dinamiche del riconoscimento sociale elaborando una concezione ancora di grande attualità. Gli strumenti più efficaci di controllo sociale, sostiene Steiner, non sono riconducibili solo alle varie forme di coercizione o di sanzione ma sono rintracciabili, in prima istanza, in un atteggiamento educativo secondo il quale le carezze vengono dosate, monopolizzate e orientate in modo da favorire od ostacolare i comportamenti delle persone. Se ad esempio ti dico che sei bravo nel fare una determinata cosa, e incapace nel farne un altra, più o meno consapevolmente finirò col rafforzare o scoraggiare il tuo comportamento di fare o non fare, e qualora questo schema si ripetesse in modo sistematico nelle prime fasi del ciclo di sviluppo, andrà nel lungo termine a influire sulla formazione della personalità e sulle scelte di vita.

 Il valore educativo delle carezze

Claude Steiner si occupò delle carezze durante il processo educativo, e dunque del modo in cui genitori ed educatori “amministrano” quella che egli chiama l’economia delle carezze, basata su 5 regole di base dalle quali ci invita a “scappare”, poiché esse vanno ad alterare la naturale propensione degli esseri umani a scambiarsi carezze positive in abbondanza, come una forma di nutrimento reciproco.  Steiner parla infatti di una “fame di carezze”fisiologica all’essere umano che, se deprivato, rischia un’astenia emotiva, affettiva, o un senso di frustrazione e di solitudine.

Vale la pena ricordare che le carezze condizionate negative sono uno strumento importante per ogni educatore: a un bambino che si avventa sul fratello più piccolo perché gli ha strappato di mano il gioco preferito sarà importante dire che il suo comportamento non è OK (carezza condizionata negativa), e poi insegnargli un modo adeguato e ragionevole di esprimere la sua legittima rabbia.

Si tratta quindi di regole condivise a livello sociale e imperniate sulla cultura familiare e comunitaria, sulla morale, la religione, le consuetudini e i retaggi intergenerazionali. Ecco quali sono:

  • Non dare carezze se hai da darne
  • Non chiedere carezze se le desideri (alle carezze richieste si attribuisce comunemente meno valore)
  • Non accettare carezze quando le desideri
  • Non rifiutare carezze che non gradisci
  • Non dare carezze a te stesso (il vecchio adagio “chi si loda si imbroda …”)

Steiner, in sintesi, ci invita a riprendere la nostra capacità e il nostro potere di scambiarci carezze, di ricreare un mondo in cui non ci siano limiti alle carezze, al riconoscimento reciproco, alla libera espressione anche di carezze negative quando occorra, purché espresse in modo responsabile e costruttivo.

La carezza è un ponte tra due abissi di solitudine. Perché il cielo e la terra passeranno, ma certe carezze non passeranno mai.” Diego Cui

Rossella Maiore Tamponi – Paolo Lorenzo Salvi

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