Il diario ovvero il nostro viaggio interiore narrato
La forma di scrittura auto-analitica è, per eccellenza, il diario. La nostra scrittura, organizzata cronologicamente e sistematica, fa di ognuno il testimone di sé stesso. Consente quel processo definito di “bilocazione cognitiva”, attraverso il quale lo scrittore si pone simultaneamente come autore e come lettore: è presente in due spazi diversi, due dimensioni che si rispecchiano.
La scrittura è per tutti noi uno strumento semplice e immediato per inaugurare un percorso di auto-conoscenza. Scrivere di sé può essere un esercizio molto fertile per esplorare, attraverso un gesto quotidiano, il proprio modo di stare al mondo e i sentimenti che scaturiscono dalla consapevolezza della propria identità, nonché dei ruoli in cui ci troviamo, scelti o attribuiti dalle persone che ci circondano.
L’atto dello scrivere dirige l’attenzione, stabilisce un contatto col presente, agevolando la creazione di un “filtro” attraverso il quale passano le esperienze più significative, i valori, le emozioni, o semplicemente gli attimi e i vissuti di particolare intensità. Ne scaturisce una “letteratura personale”. La poetessa americana Sylvia Plath scrive nei suoi diari: “il presente è l’eternità e l’eternità è sempre in movimento, scorre, si dissolve. Questo attimo è la vita”. Il diario è un grande capitolo della narrazione riguardo al “parlar di sé” e presenta alcune funzioni importanti:
- Organizzare l’esperienza del tempo raccontato attraverso i nostri scritti (consapevolezza del tempo)
- Avvicinare il tempo delle nostre azioni con il tempo della narrazione (consapevolezza del fare)
- Registrare le esperienze ed esprimere la nostra interpretazione degli eventi (consapevolezza di ciò che è accaduto)
- Essere strumento di crescita personale e di sviluppo (consapevolezza dell’essere)
La presenza di un luogo e di una data garantiscono la “tracciabilità” di noi stessi, possono, in una rilettura distanziata nel tempo, spiazzare o stupire, segnando le tappe della nostra formazione, della costruzione di un’identità. Il Diario è quindi un esercizio riflessivo col quale affidare alla pagina noi stessi, liberando nel pensiero uno spazio, quasi una “memoria esterna”, e questo spazio diventa capace di accogliere nuovi pensieri, nuove informazioni, nuovi orientamenti.
“Io voglio semplicemente mettere sulla carta quello che mi è capitato oggi pomeriggio … Comunque venga devo scriverlo” annota ancora la Plath, sottolineando sia l’intenzione – la spinta volitiva della scrittura diaristica – sia il suo carattere di necessità.
Nel diario sperimentiamo l’essere allo stesso tempo chi scrive, chi legge, e la nostra scrittura, diventata “altro da noi”. La vediamo acquisire un’esistenza propria: materiale (l’oggetto “pagina”), etica (i nostri valori), affettiva (i nostri sentimenti e le nostre relazioni). Come ha scritto Duccio Demetrio ci troviamo in una continua mescolanza tra pensiero introspettivo, retrospettivo e “finzionale”, tale cioè da tradurre e rappresentare in una “finzione costruttiva” l’essenza dei fatti della nostra vita.
La decisione di scrivere un diario è infine una decisione intima e personale, solitaria da molti punti di vista. Il diario raccoglie immaginazione, azione, coscienza, esperienza, tempo, interiorità e racconto. La filosofa spagnola Maria Zambrano ci ricorda che “ci sono cose che non si possono dire, ed è indubitabile. Ma è proprio ciò che non si può dire che bisogna scrivere”.
Rossella Maiore Tamponi – Paolo Lorenzo Salvi
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